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Dic

Col di Lana: Armando Costantini di Piedipaterno ricordato nel diario del sergente Sestino Scala

Una enorme nuvola a forma di croce sovrasta il Col di Lana. Cartolina. Collezione Attili.

Una enorme nuvola a forma di croce sovrasta il Col di Lana. Cartolina. Collezione Attili.

Nel panorama della Grande Guerra sul fronte dolomitico il Col di Lana è divenuto tristemente famoso per l’olocausto di sangue versato da entrambi i contendenti, Italiani e Austro-Ungarici. Le stime degli storici parlano di circa ottomila morti, di cui seimila Italiani. Vanno aggiunti i mutilati e gli invalidi, in numero imprecisato. La conquista di quel monte, chiamato anche Col di Sangue, divenne una questione d’onore da parte italiana e il suo mantenimento divenne un punto d’orgoglio per gli occupanti austro-ungarici. Gli attacchi, le difese, i contrattacchi, i bombardamenti ebbero quasi quotidianamente la loro eco nei bollettini di guerra di entrambi i contendenti per quasi un anno, dal maggio 1915 all’aprile 1916.

I diari, le lettere, gli scritti, i resoconti di quei combattenti sul campo, ci trasmettono la drammaticità  delle situazioni, le paure, i sentimenti. Tra queste voci, quella di Sestino Scala di Bucine di Arezzo (1887-1963), racconta nelle sue memorie un secolo e mezzo di vita della sua famiglia. Sergente del 52° reggimento fanteria, brigata Alpi, si trova sul Col di Lana quando viene ferito gravemente  l’11 luglio del 1915. In suo aiuto accorrono i soldati Armando Costantini di Piedipaterno e Giuseppe Mancinelli di Acquasparta miracolosamente rimasti incolumi.

Ecco il ricordo di Sestino:

La mattina dell’11 luglio dopo un’abbondante distribuzione di viveri, tabacchi, bevande, cioccolato e articoli di conforto, sapendo che il mio plotone aveva fatto due giorni di prima linea e per qualche giorno pensavo di rimanere in seconda ove il pericolo era minore, mi ero appartato e stavo fumando mezzo sigaro con una tranquillità limitata, mi sento chiamare dal mio capitano che mi ordina di prendere il comando del terzo plotone che proprio in quel giorno doveva essere il primo del combattimento; feci presente che io avevo fatto due giorni di prima linea col quarto plotone, ma lui mi rispose che il sottotenente Canzone che comandava il terzo aveva marcato visita ed io come sottufficiale più anziano della compagnia, per quel giorno dovevo sostituirlo nel comando! Non rimaneva che seguire l’ordine e rassegnarsi al destino.

Alle 10,30 si riprende l’avanzata, mentre ci disponevamo per l’attacco, con la speranza di indebolire la potenza nemica, le nostre artiglierie battevano furiosamente le posizioni avversarie, alle 12, le artiglierie cessavano il fuoco, alpini fanterie e bersaglieri già pronti per l’assalto, udimmo il comando “avanti Savoia” la voce e il lanciarsi in avanti fu un’unica cosa, il crepitio di fucileria e mitragliatrici, ma le trincee nemiche che sembravano completamente distrutte dalle nostre artiglierie, venuti fuori dai loro nascondigli con le mitragliatrici non solo c’impedirono di avanzare ma data la loro posizione pericolosissima (all’inizio del vallone della morte a circa 100 metri dall’estremità di Col di Lana). Era difficile la ritirata ed io coi miei pochi soldati rimasti fummo costretti a buttarsi a terra e ripararsi alla meglio. alle grida di dolore mi guardai intorno e chiesi a me stesso: e il mio plotone? Fra morti e feriti era quasi distrutto. Intanto il nemico dall’alto esplorava verso noi in basso tutta la zona scoperta e data la vicinanza poteva seguire i nostri movimenti e rendere ancora più atroce e dolorosa la nostra situazione; passati ancora trenta-quaranta minuti mi sento una pallottola che mi sfiorò la testa! Anch’io ero stato individuato? Una seconda pallottola mi staccò il tacco di una scarpa, la terza mi colpì alla spalla destra trapassandomi il torace ed il braccio destro con lesione al polmone.

Data la posizione in cui mi trovavo non fu possibile avere soccorso e fingendomi come morto rimasi in quella posizione fino a notte scura; alle 22 circa dalle 12 dell’inizio della battaglia era venuta la notte, quante volte avevo sentito i nostri feriti chiedere aiuto e quante volte avevo sentito i più gravi invocare la mamma e i propri familiari; ormai anch’io mi consideravo fra i perduti, rimasto per lungo tempo e ridotto in condizioni di non potermi muovere, il sangue mi aveva bagnato completamente dalla testa ai piedi e non avevo più neppure la forza di proferire parola, ma vicino avevo ancora due dei miei soldati miracolosamente sani e salvi, Costantini Armando di Pieviterno (Spoleto) 〈si riferisce probabilmente a Piediparterno, a pochi chilometri da Spoleto ndr〉 e Martinelli Giuseppe di Acquasparta (Perugia) che in tutto quel tempo erano riusciti a mettersi in salvo, sentii che uno di questi disse le seguenti parole, è notte, proviamo a prendere il nostro sergente e rientrare nelle nostre linee, così fecero, però le mie condizioni erano gravi, per non sentirmi strillare non potendomi sollevare, né io potevo camminare da solo, mi trascinarono per tutta quella parte del terreno pulito circa 400 metri e arrivati alla parte boschiva, uno rimase a farmi compagnia e l’altro andò in cerca dei nostri portaferiti. Mi fu possibile raggiungere il posto di medicazioni, mi furono date le prime cure e poi i conforti religiosi, la mia vita era sempre in pericolo, ma con l’aiuto di Dio e dei miei compagni che circondavano la mia barella, per ogni possibile assistenza, la mattina del 12 mezzo nudo e con un biglietto al collo attaccato da uno spago, come se fossi un pacco per ignota destinazione, fui trasportato al primo ospedaletto da campo di Andraz ove rimasi per quattro giorni tra la vita e la morte”.

 

 

Fonti e bibliografia: Cronache dal fronte 1915 – La Prima guerra mondiale in Italia – Le voci, L’Espresso con l’Archivio Diaristico Nazionale, 2015, pp. 52, 99-100; Ivano Pocchiesa, Mario Fornaro, Aduo Vio, La Grande Guerra sul Col di Lana 1915-1918, Edizione Museo Della Grande Guerra in Marmolada, 2006;

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