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17
Apr

Esplosione al polverificio di Forte dei Marmi: incidente o atto doloso?

È il 5 giugno del 1916 quando una lettera riservata arriva sul tavolo del generale Paolo Morrone, ministro della guerra. A scrivergli è il presidente del consiglio Antonio Salandra per segnalare la grave situazione registrata nel polverificio di Forte dei Marmi (Lucca) nel quale sono «annidati anarchici ed imboscati» che avevano preannunciato – qualora fossero stati richiamati alle armi – lo «scoppio della polveriera», esplosione che poi è realmente avvenuta il 31 maggio causando morti e feriti. Un fatto molto grave tant’è che il presidente Salandra nella lettera inviata al ministro della guerra Morrone chiede accurate indagini e adeguati provvedimenti nei confronti degli eventuali responsabili. Una relazione, stilata da una ‘persona degna di fede’ sui fatti legati al polverificio è conservata presso l’archivio centrale dello stato di Roma. Tale relazione venne inviata a Vincenzo Riccio, ministro delle poste e telegrafi, il quale, venuto a conoscenza di quanto accaduto, inviò in maniera riservata il documento al presidente del consiglio, al ministro della guerra e al procuratore del re presente a Lucca. Ecco alcuni stralci della dettagliata relazione:

Il polverificio di Forte dei Marmi appartiene alla Società Italiana Prodotti Esplodenti di Milano. Da quando è scoppiata la guerra esso è diventato un vero rifugio di esentati dalle armi: 1) niente affatto specializzati in prodotti esplodenti; 2) di età e di costituzione abile, come prova anche la fascia tricolore; 3) nella quasi totalità notoriamente anarcoidi e sovversivi. Alla direzione del polverificio del Forte dei Marmi, sono proposti per le relazioni esterne ed ufficiali, un ing. Quartieri e un cav. Luigi Magrini, che si dicono persone di ordine e rispettabilissime. Ma sono quasi sempre assenti. Chi si occupa delle maestranze da assumere e delle relative richieste di esenzione, e chi si assume la rappresentanza delle relazioni con il circostante paese di Forte dei Marmi è invece un “signor Angiolino” Magrini, del nominato cav. Luigi. Costui è da tempo legato con tutti gli elementi di disordine del paese, e in particolare con gli imboscati di oggi che vantano liberamente e pubblicamente la sua protezione e l’impunità che egli garantisce ai suoi fidi. Il caposaldo delle relazioni tra il detto Angiolino Magrini e costoro, sta da una parte nella sua vita e condotta privata (denaro, donne, automobili, etc…) dall’altra nelle ambizioni municipali del Magrini, che volendo avere in mano l’amministrazione comunale di Forte dei Marmi (sia per motivi personali, sia per evitare qualunque seguito alle obiezioni già elevate dalla parte del paese che non gli è asservita, contro l’irregolarità del polverificio in una stazione balneare come il Forte), aveva a tale scopo, fin da quando si fece il comune (1913-14), ingaggiati tutti costoro come suoi galoppini elettorali. Collo scoppio della guerra, il detto Angiolino Magrini beneficia senza scrupoli della eccezionale condizione creata intorno al polverificio dalle necessità industriali della guerra e dalla disciplina nazionale di cittadini d’ordine. Furono subito chieste ed ottenute esenzioni militari per il gruppo dai suoi, i quali, appena assicuratisi per se e pei loro parenti, procedettero a diffondere rapidamente il contagio, tanto che perfino sul tram litoraneo e nei pubblici locali si schernivano impunemente “i co…. che si lasciavano pigliare” e si incoraggiavano i richiamati a farsi “salvare” dal signor Angiolino. Era necessario presentare la domanda pel tramite di qualcuno dei Magrinisti sotto pena di vedersele altrimenti rifiutate, il che avvenne fra l’altro a molti amici dell’amministrazione comunale costituzionale. L’adesione morale e politica del programma Magrinista era compensata con l’esenzione militare. Si tentò di attrarre anche qualche ‘grande elettore’ costituzionale, ad esempio il capitano marittimo Galileo Vanni, ora sottufficiale R.M., il quale respinse le proposte. La cosa grave è che gli imboscati, una volta ottenuta l’esenzione, si credettero tutto lecito e invece di starsene contenti al loro salvataggio tenevano per tutto il paese il contegno più provocante ostentando donne, denaro, champagne, etc., passando intere giornate di lavoro nei caffè della piazza con la fascia al braccio… Venne una volta una ispezione, qualcuno dovette vigilare e preavvisare in tempo, perché con una improvvisa razzia si portarono tutti i dispersi al lavoro, e l’autorità ispettrice non potè vedere quella volta la verità. Un’altra volta gli imboscati principali che non lavoravano arrivarono a mettersi in tempo i camiciotti, e ad annerirsi la faccia e le mani, lavorando».

Nella relazione vengono poi evidenziate una serie di minacce rivolte anche verso il governo poiché si diceva «liberamente per il paese che il signor Angiolino piuttosto che privarsi del suo gruppo» sarebbe ricorso «prima allo sciopero, poi alla violenza sia facendo saltare la polveriera sia provocando rivolte civile nel paese». Si dice, inoltre, che «l’on Molina (genero dell’ing. Quartieri?)» abbia libero accesso presso tutti i Ministeri e possa prendere visione di tutti i documenti modificando il corso di qualunque pratica. Si dice anche che «il polverificio ha tali relazioni personali col Gabinetto di Sua Eccellenza Salandra che nessuna voce ad essa azienda sgradita vi troverà mai ascolto». «Sciocchezze » – commenta l’estensore della nota – «ma che presso un popolo incolto, pauroso e indisciplinato fanno breccia facilmente a scapito dell’ordine e della fiducia nel Governo». Ma c’è di più perché questa azione di intimidazione e di disgregazione genera contrarietà alla guerra tant’è che corrono liberamente dal polverificio al paese idee come queste: «i Tedeschi sono brava gente come noi, siamo tutti fratelli, la guerra è un delitto, gli italiani che hanno disertato sono trattati benissimo dai Tedeschi, è il Governo che ha voluto la guerra». Nella relazione viene ricordato anche che fino all’estate del 1914 il paese era «sede estiva prediletta di numerosi bagnanti tedeschi, austriaci…. e che ancora oggi vari tedeschi vi conservano proprietà ed influenza». Non appena si venne a conoscenza della disposizione di utilizzare nel polverificio uomini anziani esenti dal servizio militare che ne facessero richiesta al fine di liberare uomini abili alle armi si creò un grande allarme tra gli esonerati (85 erano del comune di Forte dei Marmi) e venne subito incominciata una campagna di intimidazione e di diffida nei confronti degli anziani disponibili a presentare domande di lavoro. «Ma il signor Angiolino fece di più: assunse per conto suo l’appalto dei lavori comunali, stradali, etc. – dicesi anticipando i capitali al comune – e vi impiega presentemente tutti quegli anziani che avrebbero altrimenti richiesto e forse insistito per entrare al polverificio, liberando così i suoi protetti dalla temibile concorrenza di costoro». Durante la settimana dal 20 al 28 maggio «si sparse nel paese la voce che nei primi di giugno [gli uomini abili] sarebbero stati vestiti e inviati in regolare servizio. Contemporaneamente si risapeva che gli esonerati erano ben decisi a non partire, ma che se avessero dovuto partire “prima fanno saltare ogni cosa”. Il 31 successe lo scoppio». L’estensore della relazione – che, oltre ai fatti, contiene anche nome e cognome di una buona parte degli esonerati del polverificio – al termine suggerisce anche una possibile soluzione all’ambigua vicenda: «Rimedio efficace contro contro il ripetersi e l’aggravarsi di fatti come quello che oggi si deplora, sarebbe l’allontanamento dal polverificio del signor ‘Angiolino’ e dei suoi pretoriani, senza di che tutti gli altri rimedi non saranno che pannicelli caldi, perché con una polveriera in mano a simili elementi la situazione è tutt’altro che rassicurante!».

Fonte: Archivio Centrale dello Stato, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Prima guerra mondiale, busta 102.

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