Nevrosi di guerra: la storia di G.P. da Monteleone di Spoleto
La Grande Guerra causò non solo morti e mutilazioni, ma anche gravi traumi psichici, che i soldati manifestavano con disturbi come disfunzioni motorie, mutismo, allucinazioni, tremori, incubi ricorrenti, stati di confusione o stupore. E con il termine popolare di ‘scemi di guerra’ si indicarono poi quei soldati che persero la ragione a causa della brutalità e/o delle sofferenze vissute al fronte o nelle retrovie.
In ogni caso, i traumi psicologici, chiamati anche shell shock, vennero spesso ignorati poichè si riteneva sconveniente attribuire disturbi mentali alla guerra e si preferiva concentrarsi su una presunta vulnerabilità genetica o sulla possibilità di simulazione, in linea con le idee dell’epoca.
Migliaia di soldati con problemi di salute mentale vennero rinchiusi nei manicomi, separati dalla comunità civile e spesso senza possibilità di guarigione.
L’archivio dell’ex ospedale Santa Maria della Pietà di Roma custodisce tra le cartelle cliniche dell’epoca anche la sofferenza di G.P., 35 anni, originario della frazione di Budine di Monteleone di Spoleto, affetto da “una forma morbosa di melanconia”.
G.P. era un contadino, sposato con M.P. e con un figlio. Venne chiamato alle armi il 21 settembre 1915 e destinato a Roma.
All’inizio scrisse alla famiglia che stava bene ed era contento ma, dal mese di dicembre 1915, cominciò a scrivere che “si sentiva male, che l’aria di Roma non gli confaceva e che avrebbe desiderato tornare al suo distretto per respirare l’aria nativa”.
Alla fine di gennaio 1916 scrisse alla moglie che “si fosse fatta coraggio perchè egli ormai sentiva che sarebbe morto, perchè qua stava male e sapeva che da Roma non poteva andare via”.
Nei primi giorni di aprile del 1916 venne ricoverato all’Ospedale Militare del Celio per ‘dolori per tutta la vita, gonfiore della milza, male allo stomaco”.
La situazione precipitò e un telegramma del direttore dell’Ospedale Militare avvertì la famiglia di G.P. che questi era gravemente ammalato e che partissero subito.
I familiari, nonostante le difficoltà dell’epoca, partirono e trovarono G.P. avvilito e deperito. Diceva con voce fioca e lamentevole che era malato, che sarebbe morto e che non si sarebbero più visti. Non mangiava più. A questo stato di depressione seguirono “fenomeni gravi d’eccitamento” che il 23 aprile 1916 portarono G.P. nel reparto segregazione del manicomio di Santa Maria della Pietà perchè aveva tentato più volte anche gesti estremi.
Durante il primo periodo di osservazione nel manicomio si mantenne sempre taciturno al punto che non dichiarò le sue generalità, rifiutava il cibo e manifestava ‘idee di colpa’. Nel certificato, redatto dopo i consueti giorni di osservazione, viene diagnosticato: “stato depressivo” con “idee di rovina in corrispondenza di fenomeni allucinatori a forma di voci con contenuto coerente alle dette idee”.
G.P. era spaventato, trascurato nella persona, denutrito (pesava 45 kg per 1,58 m. di altezza) e non riusciva a dormire. A causa degli attacchi di ansia risultava ‘doveroso assicurare ai polsi e ai piedi’ ossia veniva legato al letto.
Dichiarava che “l’avrebbero messo carcerato, che l’avrebbero condannato a qualche anno perchè diceva che gli doleva un fianco, cosa che non era ritenuta vera; affermava che sarebbe stato ucciso e che si era reso indegno di ritornare al Reggimento con la sua degenza al manicomio di Roma. Invocava il padre, la moglie, il figlio e piangeva disperato”. Piano piano però i ricordi divennero più lucidi: raccontò di trovarsi nella caserma di Montebello e lì “cominciò a provare delle paure perchè lo rimproveravano, lo minacciavano di metterlo di carcere”. Durante la degenza in manicomio le paure si amplificarono perchè sentiva dire che sarebbe stato ammazzato e tante altre minacce tipo ‘mo te portamo sopra’ etc”.
Con il passar del tempo però, pur provando ancora tanta paura, G.P. non sentì dire più nulla per cui chiese di tornare al Reggimento e non al paese perchè voleva servire la Patria come tutti gli altri.
Non fu così perchè il 15 dicembre 1916 G.P. venne trasferito al manicomio di Perugia insieme ad un altro umbro, E.S., originario di Nocera Umbra.
Per il loro trasferimento vennero incaricati due ‘robusti e accorti’ infermieri del manicomio provinciale di Perugia.
Fonte: Archivio Santa Maria della Pietà di Roma, Cartelle clicniche.























