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1
Gen

Enzo Valentini: ‘Pensa che, se anche non torno, non per questo muoio’

Da ‘Fulgori di fede e fiamme d’eroismo‘ di A. Ferrandina, trascriviamo:

Il nome di questo giovane diciottenne di famiglia patrizia della verde Umbria, che, volontariamente, al principio della guerra, sentì nell’animo suo prepotente il desiderio d’imbrandire le armi per la difesa e la grandezza dell’Italia, è rimasto scolpito a caratteri indelebili nei fasti della nostra guerra. E ciò che reca meraviglia a non pochi che lo conoscevano, o lo conobbero dopo morto, fu che volle partire come un semplice fantaccino, confuso tra i figli del popolo, cioè tra i forti contadini delle campagne e tra i laboriosi figli delle nostre officine, mentre avrebbe potuto signorilmente secondare le sue aspirazioni militari. Egli comprese ch’era un dovere il combattere quando la Patria chiama tutti alle armi, e Lui, senza essere ancora chiamato per decreto di legge, volle accorrere tra i primi. Degno di essere ricordato per sempre questo atto, altamente significativo, di Enzo Valentini, anche  perché la sua costituzione non era florida e robusta, anche perché appartenente ad una famiglia agiatissima che gli permetteva una vita abbastanza comoda, e finalmente, perché, studiosissimo com’era, fece il sacrifizio di abbandonare i libri che adorava, per immolarsi per il bel nome della Patria.

Abitava a Laviano, sul Trasimeno, nella magnifica villa dei suoi. Compiuti i primi studi, volle far da sé e con la sua ferrea volontà, non disgiunta da un non mediocre ingegno, si diede a studiare belle lettere e scienze naturali con tale diligenza e con tale premura nell’apprendere, da renderlo degno di ammirazione a quanti l’avvicinavano. Goffredo Bellonci, che ebbe motivo di conoscerlo in quegli anni dell’adolescenza, così limpidamente lo fotografa: “Conobbi nella sua villa di Laviano, un giovinetto di forme gentili, schivo nei modi, avaro di parole, tutto chiuso in un suo sogno che gli apriva gli occhi ad una luce nuova, tutto fermo in una sua volontà che gli disegnava le linee del volto e della bocca: sembrava, Enzo Valentini, estraneo al tumulto che in quei giorni di elezioni politiche riempiva ogni luogo intorno a lui. E mi parve nato, non già alle cose dell’esistenza quotidiana, ma a quelle del pensiero: non all’azione fredda e utilitaria, ma a quella generosa ed ingenua che fa dell’idea una realtà. Era un giovane che metteva la ragione suprema e il supremo fine della sua vita di là d’ogni limite materiale, e disdegnava di gioire e di intristire nel tempo, per esaltarsi nelle cose che vincono la morte, che sono eterne. Allora, presentii la sua forza”.

E la forza che manifestava il Valentini nel pensare, nell’apprendere, nel poetare, nel profondersi negli studi nella natura, nel disegnare e nel dipingere, proveniva specialmente dalla fede. Nato da famiglia religiosissima, egli custodiva nell’animo il tesoro della fede e la professava coraggiosamente (…).

Enzo Valentini, appartenente al 51° reggimento fanteria, cadde nell’ottobre del 1916 in un attacco al Sasso di Mezzodì. Morì come era vissuto, credente. Il nome di Dio, che non aveva profanato mai, poteva cogliersi dalle sue giovanili labbra porporine, mentre esalava il suo ultimo respiro. Il sacrifizio era compiuto.

La figura così signorilmente leggiadra di questo giovane, il suo cuore così nobilmente sensibile, la sua mente sapientemente eletta, hanno avuto, dopo la morte, la più bella conferma con la pubblicazione: Lettere e disegni durata con tanto dedicato affetto dalla madre contessa Cristina, donna forte che lascia indovinare a tutti la sua tenerezza fiera e profonda, la sua trepidazione, il suo amore, il suo dolore inconfessato”.

Prima di partire lasciò scritte alla madre le sue ultime volontà e una raccomandazione: “Cerca se puoi di non piangere molto. Pensa che, se anco non torno, non per questo muoio (…) se tu penserai alla immortale bellezza delle idee a cui la mia anima ha voluto sacrificare il mio corpo, non piangerai. E se il tuo cuore profondo di Madre piangerà, versale pure le tue lagrime; saranno sante, perché son sante, sempre, le lacrime di una madre”.

 

Fonte: A. Ferrandina, Fulgori di fede e fiamme d’eroismo, Prima serie,  Napoli, 1919, pp. 17-33.

 

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